Letteratura

LEZIONI AMERICANE. ITALO CALVINO.


Quando nel 1985 Italo Calvino iniziò la preparazione del testo delle conferenze che di lì a qualche mese avrebbe dovuto tenere all’Università Harvard, decise di ordinare, secondo quelli che l’autore definisce “valori o qualità o specificità della letteratura”, il suo sapere letterario, e renderlo al servizio di una riflessione sul ruolo e sulle possibilità della letteratura nel nuovo millennio, distante solamente un quindicennio.
La morte prematura di Calvino non rese possibile lo svolgersi delle conferenze, fortunatamente manoscritti originali ci hanno restituito il contenuto di tali conferenze, così che ci è  possibile percorrere con l’autore la parabola letteraria che da Lucrezio a Gadda attraversa, come una grande metafora, l’universo espressivo della letteratura.
Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità e un’ultima categoria incompiuta che sarebbe dovuta essere la Consistenza sono i valori della letteratura che Calvino vorrebbe portare negli anni Duemila. Le diverse qualità si mostrano nella singolarità delle loro caratteristiche ma risultano collegate l’una all’altra, portando alla luce un quadro di precetti stilistici, espressivi e contenutistici che sono la summa della scrittura calviniana e ne rappresenta  effettivamente il testamento letterario.

La prima conferenza affronta il tema della leggerezza, cavalcando le metafore più significative che nella storia hanno segnato tale specificità. Il racconto si evolve attraverso le forme della leggerezza. Comincia raccontando il mito di Perseo e Medusa. Attraverso il mito esplica la necessità di guardare il mondo attraverso uno specchio, come Perseo fece per sconfiggere la terribile Gorgone. Calvino ricorda i giorni di giovane scrittore, quando alla volontà di una scrittura “scattante e tagliente” vedeva contrapporsi la “pesantezza, l’inerzia, l’opacità del mondo”. Un mondo che sembrava trasformarsi in pietra e che minacciava di appesantire la sua scrittura. Senza perdersi nel mondo ineffabile del sogno lo scrittore cerca “nella scienza alimento per le mie visioni in cui ogni pesantezza viene disciolta…”. E’ nella scienza infatti che Calvino trova la molteplicità e  l’equilibrio tra un disegno letterario complesso e le sottilissime unità di cui è composto il mondo e che svuotano il racconto di quella pesantezza che l’autore rifugge.  A questo proposito funge da esempio il De Rerum Natura di Lucrezio: l’epicureo latino scrisse la prima opera in cui “la conoscenza del mondo diventa dissoluzione della compattezza del mondo”. Il mondo e il vuoto che comprende è formato da un’infinità di corpuscoli pulviscolari e invisibili. Così la metafora sulla leggerezza si collega al ragionamento filosofico, sublimando la materia a particelle elementari, delle quali sono composte le sensazioni evocate dal poeta Cavalcanti. Introdotta da una novella del Decameron di Boccaccio Cavalcanti affronta le proprie tematiche, come la sofferenza amorosa, in termini di “entità impalpabili  che si spostano tra anima sensitiva e anima intellettiva”.  Entra in gioco la leggerezza come elemento sospeso che, a partire dall’effettiva condizione fisica degli attori trasmette sensazioni di libertà e agilità: Calvino cita i tappeti magici, i geni, delle Mille e una Notte, la città sospesa dei Viaggi di Gulliver di J. Swift, Cyrano de Bergerac, il Barone di Munchausen, Galileo e Newton. Sono appunto  queste immagini della letteratura popolare e della letteratura colta che segnano il successo letterario delle teorie sulla gravitazione universale di Newton e spostano ulteriormente il piano della leggerezza su un simbolo di “sospensione, di silenzioso e calmo incantesimo”: la luna. Giacomo Leopardi chiude la metafora in progress sul concetto di leggerezza attraverso le sue rappresentazioni del satellite che tirano il filo dei percorsi intrapresi da Calvino. L’autore conclude individuando nella letteratura una “funzione esistenziale; la ricerca della leggerezza come reazione al peso di vivere”.

La seconda conferenza, sul tema della rapidità, si apre con la leggenda di Carlo Magno, ossessionato dalla moglie morta, tanto da farla imbalsamare e situare nelle proprie stanze. Il vescovo insospettito dalla passione necrofila del monarca ispeziona il cadavere trovandovi un anello. L’alto prelato, ora in possesso del cimelio, si vede rivolgersi le attenzioni ossessive del re e decide così di gettare l’anello nel lago di Costanza. Carlo Magno passerà così il resto dei suoi giorni contemplando il lago. Dopo aver passato in rassegna le evoluzioni che nella storia tale mito ha attraversato Calvino sottolinea l’importanza degli oggetti nel determinare le relazioni tra gli attori di un racconto e pone in evidenza la maggior forza della versione di Barbey d’Aurevilly  grazie all’economia espressiva: ”gli avvenimenti, indipendentemente dalla loro durata, diventano puntiformi, collegati da segmenti puntiformi, collegati da segmenti rettilinei, in un disegno a zig zag che corrisponde a un movimento senza sosta. In questo contesto si collega alla tradizione favolistica, alla relatività del tempo che la caratterizza. La favole  cavalcano il tempo senza pretenderne la continuità, eliminando ciò che non risulta essenziale all’economia del racconto. Il tempo può dilatarsi o restringersi a seconda dello scopo ma Calvino predilige la scrittura rapida, fatta di testi brevi collegati tra loro. L’autore cita Leopardi nello Zibaldone, Galileo nel Saggiatore e nel Dialogo dei massimi sistemi che utilizzano la metafora del cavallo per la velocità della mente, restituendo agilità al concetto stesso e sottolineandone la necessità economica. La rapidità viene relazionata dallo scrittore alla modernità e quindi proiettata nel nuovo millennio anche in funzione degli elementi che l’autore individua come in continuo mutamento nella comunicazione umana in generale, così come nei processi artistici nella società dei mass media. In un‘epoca in cui si rischia di appiattire ogni comunicazione in una “crosta uniforme e omogenea” la letteratura assume invece il compito di “esaltare la differenza” attraverso il linguaggio e lo stile; linguaggio possibile di numerose sfaccettature che l’autore, attraverso la contrapposizione tra gli antichi Dei Mercurio e Vulcano situa a livello attitudinale del singolo. Mercurio, Dio della comunicazione e delle mediazioni, rapido e partecipativo; il Dio Vulcano, fabbro degli dei, claudicante e isolato, portatore della concentrazione costruttiva. Per Calvino sono elementi inscindibili nel processo letterario; per i sui potenziali ascoltatori aggiunge così un precetto: “Il lavoro dello scrittore deve tener conto di tempi diversi: il tempo di Mercurio e il tempo di Vulcano, un messaggio di immediatezza ottenuto a forza di aggiustamenti pazienti e meticolosi”.

La terza conferenza analizza l’esattezza come valore letterario. L’argomento si centra inizialmente su una critica alla contemporaneità dove il linguaggio si vede svuotato di “forza conoscitiva e immediatezza” secondo quella che l’autore definisce “epidemia del linguaggio”. Calvino si inoltra quindi nella definizione del concetto di esattezza in quanto: disegno dell’opera ben definito; evocazione di immagini visuali nitide; linguaggio preciso come lessico e resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione. Lo Zibaldone di Leopardi e l’elogio che egli fa del termine vago sembrano confutare tali definizioni. Il poeta accosta vago ai termini lontano, antico, notte, notturno, oscurità, profondo, esaltando l’immagine “vaga, indistinta, incompleta, sì di essa che di quanto contiene”. Fa succedere quindi una descrizione minuziosa delle situazioni propizie allo stato d’animo dell’indefinito. In questo modo mette in luce la necessità di un’attenzione rigorosa e sistematica nella composizione di ogni immagine, di ogni particolare per “raggiungere la vaghezza desiderata”. La vaghezza si fa complice dell’esattezza come strumento della sua realizzazione. Si tratta si descrivere minuziosamente l’indefinito per coglierne le sfumature. Il rapporto tra esattezza e indeterminatezza si ritrova in tutta la storia della filosofia, Calvino individua nella contrapposizione tra cristallo (invarianza e regolarità di forme specifiche) e fiamma (costanza di una forma globale esteriore, malgrado l’incessante agitazione interna) la divisione strutturale di un’opera letteraria: “L’opera letteraria è una di queste minime porzioni in cui l’esistenza si cristallizza in una forma, acquista un senso, non fisso, non definitivo, non irrigidito in un’immobilità minerale, ma vivente come un organismo”. Per l’autore è necessario lavorare verso due direzioni: la “riduzione degli eventi contingenti a schemi astratti con cui si possono compiere operazioni e dimostrare teoremi” (Cristallo) e “lo sforzo delle parole per render conto con la maggior precisione possibile dell’aspetto sensibile delle cose” (Fiamma). Significativa è quindi la battaglia che lo scrittore devo compiere per far diventare il linguaggio “linguaggio delle cose”. E’ fondamentale quindi l’equilibrio tra esattezza e indefinito dove la descrizione minuziosa delle sensazioni dell’indefinito restituisce immediatezza e forza conoscitiva al linguaggio.

La quarta conferenza, sulla visibilità, si divide in due punti: il primo si apre con una considerazione: “La fantasia è un posto dove ci piove dentro”. Calvino si riferisce alla tradizione che attribuisce alla fantasia e ai luoghi dell’immaginazione una provenienza divina. L’autore cita così Dante e il Purgatorio dove il poeta compie il suo percorso non più attraverso immagini reali ma vede immagini che gli si manifestano nella mente. E’ Dio che gliele manda. Le immagini piovono dal cielo. La fantasia è quindi una rappresentazione mentale, il passaggio dalla parola all’immaginazione viene individuato come la via per raggiungere la conoscenza dei significati profondi. Vengono distinti due tipi di processi immaginativi: dalla parola all’immagine (lettura) e dall’immagine visiva all’espressione verbale.
Nel secondo punto l’autore si sofferma più sulla modernità: gli autori si rivolgono ad altre autorità come fonte della propria fantasia (epifanie, inconscio etc.) e concedono priorità all’immagine visiva rispetto all’espressione verbale, come sottolinea Calvino riguardo le sue opere iniziali. A partire dall’immagine visualizzata interiormente, lentamente concettualizzata, si da forma e senso allo sviluppo di una storia, ”unificando la generazione spontanea delle immagini e l’intenzionalità del pensiero discorsivo”. Qui lo scrittore introduce un’altra definizione di immaginazione come “repertorio del potenziale, dell’ipotetico, di ciò che non è né è stato né forse sarà ma che avrebbe potuto essere” e quindi la fantasia come “una macchina elettronica che tiene conto di tutte le combinazioni possibili e sceglie quelle che rispondono a un fine, o che semplicemente sono le più interessanti, piacevoli, divertenti”. La condizione fondamentale rimane comunque la capacità di immaginare ad occhi chiusi, resa molto difficile dalla modernità, inondata di stimolazioni visive, tanto da essere denominata “società delle immagini”, dove non c’è spazio per “mettere a fuoco visioni ad occhi chiusi”. L’autore si chiede dunque se sia possibile la letteratura fantastica nel Duemila offrendo due strade possibili:  “Riciclare le immagini usate in un nuovo contesto che ne cambi il significato” (Post-Modernismo) o “Fare il vuoto per ripartire da zero” (S. Beckett).

La quinta conferenza tratta la molteplicità. L’autore cita inizialmente Quer pasticciaccio brutto de via Merulana e affronta attraverso Gadda e il suo manifesto letterario la tendenza, tutta contemporanea, a “rappresentare il mondo come un garbuglio, o groviglio, o gomitolo, di rappresentarlo senza attenuarne affatto l’inestricabile complessità, o per meglio dire la presenza simultanea degli elementi più eterogenei che concorrono a determinare ogni evento”. Gadda sviluppa le sue narrazioni dilatando il tempo del racconto con descrizioni meticolose. Procede per divagazioni che allargano la prospettiva quasi nel tentativo di “abbracciare l’intero universo”. Interviene sulla realtà che meticolosamente registra, distorcendola necessariamente. Tentativi simili nella letteratura hanno riscontrato le medesime conseguenze, Calvino pone ad esempio Robert Musil, Proust, Flaubert e i tentativi di realizzare una letteratura enciclopedica che abbracciasse il più possibile la molteplicità del reale. L’inafferrabilità del reale nella sua completezza ha segnato il dibattito sulla filosofia della scienza e la sua accettazione ha caratterizzato scienza e letteratura del Novecento. La letteratura del XX secolo ha giocato in molti modi con la rappresentabilità del molteplice. Alcuni esempi sono: discorsi unitari interpretabili su vari livelli; testi dove vengono riportate le voci e gli sguardi di una molteplicità di soggetti; opere nelle quali il tentativo di contenere il più possibile non permette la definizione netta della forma; una letteratura che “procede per aforismi, per lampeggiamenti puntiformi e discontinui”, ciò che in filosofia viene chiamato pensiero sistematico. E’ il “modello della rete dei possibili” in cui le regole dello “scrivere breve” vengono adottate anche dai romanzi lunghi, che ”presentano una struttura accumulativa, modulare, combinatoria”. Calvino conclude citando i suoi Se una notte d’inverno un viaggiatore Il castello dei destini incrociati, Le vie mode d’emploi e Les choses di Georges Perec, romanzi costruiti attraverso l’intreccio di molte storie, vite, universi. La molteplicità richiede quindi una curiosità ed un rigore inesauribili. Tra i valori che lo scrittore vorrebbe tramandati al nuovo millennio c’è una letteratura che “abbia fatto proprio il gusto dell’ordine mentale e della esattezza, l’intelligenza della poesia e nello stesso tempo della scienza e della filosofia”. In Jorge Luis Borges come in Perec l’esigenza di costruire un intreccio come un grande “puzzle” implica il rispetto di regole rigide, autoimposte, che diano una forma al “romanzo come grande rete”.

Il libro, edito da Mondadori nella collana Oscar Mondadori, conclude con un inedito che avrebbe dovuto introdurre le conferenze e che fu scartato dall’autore. Parte del materiale avrebbe dovuto far parte della sesta lezione sulla Consistenza.
Italo Calvino per introdurre le sue conferenze sviluppa il concetto di inizio. Individua nella capacità di dirimere i fili del flusso continuo del reale per individuare e isolare la storia che si vuole narrare, come un elemento fondamentale per lo scrittore. Lo scrittore isola e sceglie la storia e il linguaggio più adatto a raccontarla. Il flusso continuo dell’esperienza concede importanza ulteriore all’inizio, così da marcare la discontinuità della narrazione all’interno di una continuità universale. Gli antichi marcavano l’inizio con l’invocazione alla Musa mentre nel romanzo classico del secolo XVII, XVIII e XIX, da Cervantes a Diderot, la tendenza sarà di specificare nel dettaglio la condizione o le origini del protagonista, sia in maniera esauriente che indeterminata. Soprattutto nelle opere di ispirazione religiosa l’incipit come rito, come passaggio dall’universale al particolare è dominante. Il romanzo degli ultimi due secoli invece sembra non tener conto di segnare l’inizio dell’opera con un rito, aprendosi ai più vari incipit. Dunque Calvino percorre i generi letterari, dalla novella, alle favole del “c’era una volta…”, al Decameron di Boccaccio, Proust, i saggi di Benjamin e di Erich Auerbach sottolineando il difficile equilibrio tra singolare e universale, memoria e oblio, vita e morte, che risiede nella possibilità di scegliere di raccontare una storia, riportarne alla luce un’altra, dimenticarne alcune e scegliere di non raccontarne altre. Insomma la possibilità e la necessità di porre il fuoco su una serie di eventi rispetto all’infinito del possibile, sviluppandoli “in modo tale da essere rappresentativi di quell’abbondanza infinita”. Calvino passa allora in rassegna anche i finali, individuandone alcuni più caratteristici, in direzione di ciò che era stato detto per gli inizi. Nel Don Quijote di Cervantes la penna dello scrittore si congeda dai lettori; Thomas Mann nella Montagna Incantata lascia ai lettori un finale aperto; per l’autore comunque, a parte nelle forme narrative tradizionali, il finale è, nella maggioranza, incerto; “alcuni finiscono quando ogni proseguimento non potrebbe che ripetere ciò che è già stato rappresentato, o quando la comunicazione che volevano trasmettere ha assunto una forma compiuta”.
Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità e Concisione attraversano tout-cour l’intera serie di conferenze e vanno a mescolarsi assieme per formare un disegno generale della scrittura e della scrittura di Italo Calvino. Il letterato italiano ha compito un salto attraverso la storia della letteratura mondiale così da proiettarci verso l’importanza e il ruolo che letteratura avrà  nel nuovo millennio.
                                                                                                                                                                               G.O.